Punti chiave:
- La sindrome dell’intestino irritabile è disturbo dell’interazione intestino-cervello, alla base del quale vi è una complessa interazione di fattori biologici, psicologici e sociali;
- E’ caratterizzata da dolore ricorrente, presente, in media, almeno un giorno a settimana negli ultimi 3 mesi, associato cambiamento di frequenza o forma delle feci;
- Se non è presente dolore ma solo alterazione dell’alvo o gonfiore, si parla di disordini intestinali funzionali;
- Nell’IBS vi sono anche sintomi extraintestinali, quali:
- cefalea;
- facile stancabilità;
- difficoltà di concentrazione;
- palpitazioni;
- sensazione di fame d’aria;
- disuria (difficoltà ad urinare;
- ansia, irritabilità.
- L’IBS e i disordini funzionali intestinali hanno dei confini sfumati e possono portare a un grave peggioramento della qualità della vita.
- Le diete maggiormente utilizzate per il trattamento dell’IBS, variante diarroica sono:
- la dieta a basso contenuto di FODMAP (LFD);
- la dieta senza glutine (GFD);
- i consigli alimentari tradizionali (TDA).
- In uno studio di confronto tra questi tre tipi di diete, si è avuto un miglioramento clinico significativo e sovrapponibile nei tre diversi approcci;
- il TDA è risultato il più facilmente implementabile nella propria vita, nonché più economico.
- Può essere seguito in maniera autonoma dal paziente.
- Il TDA prevede di:
- ridurre alcol, caffeina e bevande gassate;
- ridurre alimenti grassi, speziati e processati/ultraprocessati;
- consumare fino ad un massimo di tre frutti freschi al giorno;
- ridurre o modulare il consumo di fibre e altri alimenti che producono gas (fagioli, pane, dolcificanti , ecc.);
- affrontare eventuali intolleranze alimentari percepite (ad es. intolleranza al lattosio).
- La LFD richiede che il paziente sia seguito da personale qualificato attraverso tre diverse fasi progressive;
- Spesso i pazienti interrompono il percorso LFD, rimanendo in una dieta limitata e non salutare sul lungo periodo.
- Data la maggiore semplicità, l’approccio TDA deve essere quello iniziale, riservando la LFD ai non responder.
- L’eliminazione di alimenti ultraprocessati conferisce ulteriori benefici, come la prevenzione oncologica e di altre malattie infiammatorie intestinali.
- L’approccio terapeutico dell’IBS, per essere completo, deve interessare non solo la dieta, ma lo stile di vita sotto tutti gli aspetti.
Introduzione
Poco dopo aver iniziato l’università mi successe qualcosa di strano.
Quando ero in attesa del treno, o in aula a lezione, ma soprattutto i giorni in cui dovevo sostenere un esame, iniziai ad avvertire una terribile urgenza di dover andare in bagno. E per terribile intendo che era gestibile a malapena.
All’epoca non avevo ancora studiato la sindrome dell’ intestino irritabile (IBS), ma avevo capito l’associazione di questo repentino cambiamento dell’alvo, con il mio stato psicologico e la situazione che stavo vivendo. Insomma capì di avere una sorta di “colite nervosa”; e vi dirò che, in precedenza, ero stato tendenzialmente stitico: quindi ero sicuro che questa nuova situazione fosse un regalino della mia incipiente carriera universitaria.
Non immaginai subito che quello che mangiavo potesse andare a triggerare i sintomi del mio nuovo, nervoso amico. Però vi dico che ora potrei fare una guida turistica sui migliori bagni di cui servirsi a partire dalla stazione di Bari Centrale, lungo tutta la strada che porta al policlinico e dentro il policlinico stesso.
Sindrome dell’intestino irritabile: definizione e criteri diagnostici
Negli anni l’IBS è stata definita in vari modi dalla Fondazione Roma, responsabile di aver redatto nei congressi i relativi criteri diagnostici, definiti appunto Roma-I-II-III e IV, cioè il numero del congresso in cui sono stati redatti.
Ad oggi siamo arrivati ai criteri Roma IV del 2016 con cui la mia autodiagnosi di IBS mi è stata strappata.
Infatti allo stato attuale per avere una diagnosi di IBS, vi deve essere necessariamente dolore addominale (non solo disagio o discomfort). Il dolore deve essere ricorrente e presente in media, almeno un giorno a settimana negli ultimi 3 mesi, associato a 2 o più dei seguenti criteri:
- correlato alla defecazione;
- associato con un cambiamento nella frequenza di evacuazione delle feci;
- associato con un cambiamento nella forma in cui si presentano le feci.
Queste alterazioni della motilità intestinale e del cambiamento della frequenza e/o forma delle feci, permettono di dividere i pazienti in sottogruppi a secondo al loro modello di feci predominante:
- IBS con diarrea (IBS-D),
- IBS con costipazione (IBS-C),
- IBS mista (IBS-M),
- IBS non classificata (IBS-U).
La presenza di dolore addominale, con una determinata frequenza, distingue l’IBS dagli altri disturbi intestinali funzionali, che consistono di:
- costipazione funzionale,
- diarrea funzionale,
- gonfiore o distensione addominale funzionale.
Tuttavia, c’è un certo grado di sovrapposizione e fluttuazione tra IBS e questi altri disturbi.
Per tornare a parlarvi di me, non ho dolore quando devo andare di corpo, ma solo una estrema urgenza. In periodi di estremo stress mi è capitato di avere un dolore molto importante, quasi invalidante, però questa cosa sarà successa solo tre-quattro volte negli ultimi tre anni (ed in un caso avevo contratto il Covid-19).
Inoltre durante l’università mi è comparso un altro sintomo: un gonfiore che mi accompagna da dopo il pranzo alla sera e scompare la mattina successiva.
Quindi posso essere classificato come un diarroico funzionale o “gonfiorico” funzionale; però a volte mi è capitato di avere dolore, nonché altri sintomi della stessa IBS.
Sintomi extraintestinali dell’IBS
Nella IBS possiamo infatti anche avere sintomi non prettamente intestinali come:
- cefalea;
- facile stancabilità;
- difficoltà di concentrazione;
- palpitazioni;
- sensazione di fame d’aria;
- disuria (difficoltà ad urinare).
Vediamo quindi che vi sono alterazioni delle funzioni cognitive di chi soffre di IBS, (ma vi assicuro che possono coinvolgere anche chi ha “solo” disturbi funzionali intestinali).
Nei pazienti con IBS vi è una alterato rilascio di serotonina (che per il 90% è secreta a livello intestinale), ed un numero più elevato di cellule enterocromaffini, che appunto liberano serotonina.
Nei pazienti con IBS sono state notate alterazioni (in difetto o eccesso) dei livelli di serotonina, che contribuirebbero a determinare i disturbi d’ansia, irritabilità, e le alterazioni cognitive.
Le alterazioni della minzione sono un altro regalo che mi è stato fatto successivamente. In particolare sempre tramite autodiagnosi, mi è venuta la cosidetta vescica irritabile: insomma avevo urgenza anche ad urinare, come se non bastasse quella a defecare.
Anche in questo caso, gli stimoli trigger erano rappresentati sia da fattori emotivi che ambientali, come ad esempio il freddo.
Insomma tutto questo per dirvi che:
- i sintomi sono estremamente vari e vanno ben al di fuori dell’intestino.
- anche se non vi è una lesione organica, questa sindrome può veramente compromettere la qualità della vita del paziente;
- i criteri diagnostici sono un orientamento per i medici, ma non dei rigidi confini.
Le cause dell’IBS
Il congresso di Roma IV ha anche ridefinito IBS come a disturbo dell’interazione intestino-cervello, alla base del quale vi è una complessa interazione di fattori biologici, psicologici e sociali.
Le cause dell’IBS sono varie e correlate tra loro da un rapporto di causalità, così tanto che potremmo dire che non sappiamo se è nato prima l’uovo o la gallina.
La prima causa scatenante può essere diversa da persona a persona.
Passiamole in rassegna rapidamente una ad una.
Genetica ed epigenetica.
Vi può essere una predisposizione genetica, nonché alterazioni epigenetiche (modificazioni che cambiano il modo di leggere i geni), responsabili dell’ aumentata permeabilità intestinale e sensibilità viscerale.
Alterazioni a carico del sistema nervoso centrale, del sistema nervoso autonomo e ipersensibilità viscerale
Abbiamo un’attivazione alterata a livello cerebrale di regioni responsabili dell’elaborazione cognitiva ed emotiva agli stimoli viscerali (dell’intestino e colon) e somatici, nonché della risposta del sistema nervoso autonomo ad essi. Come conseguenza abbiamo ipersensibilità viscerale, ipervigilanza e ansia correlata ai sintomi.
Il sistema nervoso autonomo media la comunicazione tra intestino e cervello. Nell’ IBS, è stata riscontrata una riduzione dell’attività parasimpatica e un aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico. La riduzione del tono vagale a causa dello stress, ha un impatto sulla motilità, sensibilità e permeabilità intestinale, nonché sull’ infiammazione periferica.
Tra il 20% e il 60% dei pazienti con IBS hanno una aumentata percezione viscerale a vari stimoli fisiologici (ad esempio, meccanici o elettrici). In un curioso esperimento raccontatomi da un gastroenterologo infilarono nel sedere una sonda gonfiabile in due gruppi di pazienti: uno con diagnosi di IBS ed uno senza. I pazienti con IBS avvertivano prima il gonfiore della sonda come spiacevole (ok, potete scrivere nei commenti tutte le battute che volete).
Infiammazione di basso grasso, aumento della permeabilità intestinale, alterazioni del microbiota
Nei pazienti con IBS vi è un’ infiammazione di basso grado dell’intestino il quale a sua volta può essere dovuta ad una disbiosi (alterazione del microbiota intestinale), alla presenza di una barriera epiteliale compromessa e alla presenza alti livelli di stress (tramite il vago).
Anche un precedente episodio di gastroenterite infettivo da virus batteri o parassiti, può alterare la barriera intestinale e dare una flogosi di basso grado.
L’ aumento della permeabilità intestinale nei pazienti con IBS (soprattutto nella variante diarroica) correla con la sensibilità viscerale e la gravità dei sintomi.
Può essere inoltre riscontrato un aumento del numero di mastociti, in particolare nella porzione discendente del colon, nella regione rettosigmoidea e nell’intestino tenue.
L’iperplasia dei mastociti è più comune nell’ IBS-D e la gravità e la frequenza del dolore addominale è correlata alla presenza di mastociti attivati in prossimità delle terminazioni nervose nel mucosa intestinale. Considerate che i mastociti liberano istamina, e il suo rilascio contribuisce ai sintomi intestinali ed extraintestinali di questa sindrome.
In alcuni studi è stato riscontrato un ridotta espressione dell’interleuchina-10 (che ha un’ azione antinfiammatoria e immunomodulante), e livelli proteici sono consistentemente ridotti nella mucosa e/o nella circolazione periferica, nei pazienti con IBS-D; si associano a comorbidità con ansia o depressione.
Intestino irritabile con diarrea: che dieta seguire?
Tornando a me vi descrivo cosa mangiavo all’epoca a colazione:
- un cappuccino;
- una caterva di biscotti con il cioccolato;
- un cornetto confezionato con la marmellata.
Ok col senno di poi diciamo che non è proprio una colazione ideale per chi ha l’IBS o diarrea funzionale che si voglia…
E’ proprio il caso di citare il titolo dello spettacolo portato nelle sale dall’osteopata Massimo Valente: “Chi è causa del suo mal pianga sul cesso!”.
Ma che volete da me! A medicina la nutrizione non si studia proprio, per di più ero stato sempre stitico e associavo quei sintomi all’ansia e allo stress…
E invece no, se siamo in ansia o stressati e l’intestino è infiammato ed ipermobile, gli alimenti possono triggerare i nostri sintomi…
Insomma alla fine ho capito che la mia alimentazione andava sistemata e quindi negli anni mi sono chiesto: quale è la dieta ideale per il nostro “colon irritabile”?
I pazienti con IBS si dividono in due gruppi:
- quelli che ossessionano il proprio medico di famiglia per i loro sintomi, anche dopo che hanno fatto la colonscopia ed hanno escluso qualsivoglia tipo di patologia organica;
- quelli che iniziano ad associare (come me) i propri sintomi allo stress e alla dieta e iniziano a limitare i cibi che danno fastidio.
Nell’IBS sono stati fatti studi sull’efficacia di vari tipi di diete. In particolare in questo articolo valuteremo uno studio in cui vengono confrontate i tre tipi di diete più frequentemente proposte in questo tipo di disturbo:
- la dieta senza glutine (GFD);
- la dieta con pochi FODMAP (LFD);
- i consigli tradizionali di igiene alimentare (TDA).
Che cosa sono i FODMAP?
Apriamo una piccola parentesi per spiegare cosa sono i FODMAP. Questo acronimo sta per fermentable oligo-di-monosaccaridi e polioli; sono carboidrati a catena breva scarsamente assorbiti dall’intestino tenue. Tra questi abbiamo:
- fruttosio,
- galattosio,
- lattosio,
- sorbitolo,
- mannitolo,
- xilitolo,
- maltitolo.
Queste fibre non assorbite vengono fermentate dalla flora batterica intestinale, dando nei pazienti con IBS distensione, dolore e aumento del transito fecale; insomma possono fungere da trigger per la sintomatologia.
Per esperienza personale posso dirvi che la capacità di tollerare queste fibre è molto influenzata da come sta il vostro intestino e da come state voi in quel momento. Se già state male di pancia o siete molto stressati o ansiosi, solo sentirne l’odore vi fa gonfiare come un pallone; di contro se siete tranquilli, magari in vacanza vi potete sfondare come volete.
Però non illudetevi! Quando prenderete di nuovo il caffè il vostro capo che non “tollerate”, non tollererete nemmeno il caffè e i cibi contenenti FODMAP e correrete al cesso come sempre.
I soggetti in questo studio avevano più di 18 anni con diagnosi di IBS variante diarroica (IBS-D) o di tipo misto (IBS-M) e un punteggio di gravità dei sintomi IBS (IBS-SSS) >75.
Facendo la somma dei vari punteggi avremo un numero che ci indica quanto la condizione di questo paziente sia compromessa.
Lo studio
I pazienti sono stati assegnati ai gruppi TDA, LFD o GFD (in quest’ultimo gruppo la restrizione dal glutine non era rigorosa come nella malattia celiaca, perché era consentita la contaminazione incrociata con glutine, ad esempio condividendo lo stesso tostapane ) e seguirono la dieta per 4 settimane.
Ecco alcune caratteristiche dei pazienti:
- 101 pazienti hanno iniziato l’intervento dietetico (TDA = 35, LFD = 33, GFD = 33), con 2 persi al follow-up;
- un totale di 99 partecipanti, 33 gruppo, hanno completato lo studio;
- l’età media era di 37 anni, con il 71% di donne, l’88% di bianchi;
- il 75% di IBS-D e il 25% di IBS-M;
L’endpoint dello studio è stato definito con una riduzione ≥50 punti dell’IBS-SSS.

L’ IBS-SSS come potete vedere nella tabella sopra riportata, è un questionario in cui i pazienti danno un punteggio a 5 parametri:
- la severità del dolore addominale,
- la durata del dolore addominale,
- la severità della distensione addominale,
- la soddisfazione delle abitudini nell’andare di corpo,
- quanto la qualità della vita è peggiorata dall’IBS.
Dalla somma di questi punteggi esce un numero; in questo studio avevamo un IBS-SSS medio di 301, con il 9% di IBS lieve, il 47% di IBS moderata e il 45% di IBS grave. La riduzione di 50 punti è correlata ad un miglioramento clinicamente significativo.
Gli endpoint secondari includevano:
- cambiamenti nei singoli elementi IBS-SSS in quelli con una risposta clinica;
- cambiamenti in ansia, depressione, somatizzazione, qualità della vita;
- valutazione dell’apporto dietetico;
- alterazioni a carico del microbiota;
- accettabilità e qualità della vita correlata al cibo associata alla terapia dietetica.
I risultati dello studio
L’endpoint primario di riduzione ≥50 punti nell’IBS-SSS è stato raggiunto:
- dal 42% nel gruppo TDA,
- dal 55% nel gruppo LFD,
- e dal 58% con GFD.
E’ interessante notare che in questo studio le differenze di percentuale tra i tre gruppi non si sono dimostrate statisticamente significative. Insomma tutte e tre le diete erano efficaci in egual misura nel dare un miglioramento clinico.
Per quanto riguarda gli endpoint secondari:
- l’ansia, la somatizzazione e la qualità della vita non differivano tra i gruppi;
- gli individui assegnati al gruppo LFD hanno avuto un miglioramento significativo della depressione rispetto al TDA; presentava inoltre un significativo miglioramento della disforia rispetto a TDA e GFD;
- I pazienti hanno trovato il TDA più facile da introdurre nella propria vita, più economico, meno dispendioso in termini di tempo e più facile da seguire soprattutto quando si mangia fuori o in famiglia e con gli amici, rispetto a GFD e LFD.
- sebbene i macronutrienti e i micronutrienti si siano ridotti all’interno di ciascun gruppo dietetico, non vi è stata alcuna differenza significativa tra i gruppi a parte a una tendenza verso una maggiore riduzione di fibre sull’LFD rispetto a GFD e TD
- questo tipo di diete sono associate ad un peggioramento nel tempo della disbiosi e della composizione del microbiota (il motivo per cui, soprattutto la LFD, non possono essere portate avanti in maniera indefinita);
- l’LFD ha portato a riduzioni significative in ogni singolo componente FODMAP, mentre con i TDA erano ridotti soprattutto frutto-oligosaccaridi, lattosio e mannitolo, nella GFD frutto- e galatto-oligosaccaridi. La riduzione di FODMAP vi era in tutti e tre i gruppi, ma era più marcata nella LFD.
Quindi in definitiva vediamo che i consigli tradizionali dietetici hanno avuto un impatto clinico sovrapponibile alla dieta senza glutine e alla dieta FODMAP, venendo però considerato più economico e facilmente implementabile nella propria quotidianità dai pazienti.
I consigli alimentari tradizionali
Ma esattamente questi TDA in cosa consistono?
Consiste nel:
- ridurre alcol, caffeina e bevande gassate;
- ridurre alimenti grassi, speziati e processati/ultraprocessati;
- consumare fino ad un massimo di tre frutti freschi al giorno;
- ridurre o modulare il consumo di fibre e altri alimenti che producono gas (fagioli, pane, dolcificanti , ecc.);
- affrontare eventuali intolleranze alimentari percepite (ad es. intolleranza al lattosio).
Gli alimenti ultraprocessati
Vediamo un attimo che cosa intendiamo per alimenti ultraprocessati.
La trasformazione degli alimenti è definita come una qualsiasi procedura che altera il cibo del suo stato naturale e include congelamento, essiccazione, inscatolamento, miscelazione, aggiunta di sale, zucchero, grassi o additivi.
Per alimento processato o trasformato si intende un alimento diverso da un prodotto fresco che sia soggetto ad un qualsiasi tipo di trattamento o lavorazione. Questa definizione è abbastanza ampia e capiamo come la maggior parte del cibo che consumiamo oggi, per definizione, è processato, anche se in modo diverso e con caratteristiche differenti.
Esiste un sistema di classificazione degli alimenti sviluppato dai ricercatori dell’Università di San Paolo, in Brasile, chiamato NOVA, che ci permette di individuare vari gruppi a seconda dei processi a cui gli alimenti sono stati sottoposti.
Abbiamo:
- Il gruppo NOVA 1, cioè gli alimenti minimamente trasformati e non trasformati. Verdure, frutta, cereali, fagioli e noci rientrano in questa categoria. Questi alimenti potrebbero aver subito la tostatura, l’ebollizione o la pastorizzazione per aumentare la durata di conservazione o renderli sicuri da mangiare.
- Il gruppo NOVA 2 racchiude gli ingredienti culinari trasformati ottenuti direttamente da alimenti del gruppo 1 o dalla natura. Questo può includere alimenti come olio d’oliva, sciroppo d’acero e sale. Gli alimenti del gruppo 2 sono utilizzati principalmente nella preparazione e cottura degli alimenti del gruppo 1.
- Il gruppo NOVA 3. Alimenti trasformati, compresi gli alimenti realizzati aggiungendo ingredienti come sale, zucchero o altre sostanze dal gruppo 2 al gruppo 1. Gli esempi includono pane fresco, frutta sciroppata e formaggi.
- Il gruppo NOVA 4. Alimenti ultra processati. Questi contengono pochi, se non nessuno, degli alimenti o degli ingredienti del gruppo 1. Questi articoli sono pensati per essere convenienti, iper-appetitosi e a basso costo e sono tipicamente ricchi di zuccheri, cereali raffinati, grassi, conservanti e sale.
Gli alimenti ultra-elaborati o altamente elaborati in genere contengono sostanze che non useremmo nella preparazione del cibo a casa, come :
- proteine idrolizzate;
- amidi modificati;
- oli idrogenati;
- coloranti;
- aromi;
- sciroppo di mais ad alto fruttosio, fruttosio, maltodestrine;
- dolcificanti artificiali;
- coloranti e aromi artificiali
- addensanti e conservanti;
- oli idrogenati o esterificati;
- agenti volumizzanti, schiumogeni e gelificanti;
- esaltatori di sapidità come il glutammato monosodico (MSG).
Tutte queste sostanze possono rientrare nella categoria dei FODMAP, o possono alterare microbiota intestinale inducendo disbiosi; nel complesso non hanno proprio un effetto benefico a livello intestinale (ed in realtà su tutto il corpo).
Gli alimenti ultraprocessati sono i più elaborati; sono tipicamente costituiti da 5 o più ingredienti che comprendono zucchero, sale, olio, grassi, antiossidanti, stabilizzanti e conservanti.
Gli ingredienti che si trovano negli alimenti ultraprocessati includono sostanze non comunemente usate nelle preparazioni culinarie e additivi (coloranti, aromatizzanti, esaltatori di sapidità, dolcificanti) il cui scopo è imitare le qualità sensoriali degli alimenti del gruppo 1 o mascherare le qualità sensoriali indesiderabili del prodotto finale.
Lo scopo principale dell’ultralavorazione industriale è quello di creare prodotti pronti da mangiare o da bere in grado di sostituire alimenti non o minimamente trasformati.
Vi porto alcuni esempi:
- bevande zuccherate,
- snack confezionati,
- gelato,
- cioccolato,
- pane e focacce confezionate,
- margarine e creme spalmabili,
- torte e preparati per torte,
- barrette,
- bevande energetiche,
- superalcolici,
- estratti di carne,
- salse,
- alimenti per lattanti,
- sostituti dei pasti,
- prodotti pronti da riscaldare,
- salsicce,
- hamburger,
- hotdog,
- zuppe istantanee,
- dessert confezionati,
- caramelle,
- sostituti dei pasti.
L’eliminazione degli alimenti ultraprocessati aiuta a migliorare la sintomatologia dell’IBS, e ben vi credo considerando tutto quello che vi è all’interno.
Ma il consiglio di ridurre il consumo di alimenti ultraprocessati non va solo a chi soffre di IBS, ma a tutta la popolazione, essendo il suo consumo associato ad un aumentato rischio di cancro; in particolare per ogni 10% di incremento di consumo di alimenti ultraprocessati, vi è un aumento del 10% dell’incidenza di tumore, e del 6% di morire di tumore (soprattutto ovaio e mammella).
In un recente studio è stata associato il maggior consumo di alimenti ultraprocessati alla incidenza di morbo di Crohn.
Quale dieta scegliere?
Tutte le diete hanno ridotto l’assunzione totale di FODMAP, soprattutto nel gruppo LFD. Ciò suggerisce che il motivo per cui tutte e tre le diete sono efficaci è che agiscono nello stesso modo.
Considerate che i cereali contenenti glutine e i loro derivati contengono molti FODMAP ed in molti studi si è verificato che molti dei benefici riscontrati dai pazienti effettuando una dieta senza glutine, erano legati alla riduzione dei FODMAP (fruttani) e non del glutine di per sè.
In secondo luogo possiamo notare che una moderata restrizione FODMAP, come visto nella TDA, può essere altrettanto efficace di una restrizione rigorosa come nella LFD.
La LFD è una dieta che per poter essere eseguita ha necessità che il paziente venga seguito da personale sanitario adeguatamente formato.
Tale dieta prevede infatti tre fasi:
- una fase rigorosa di eliminazione della durata dalle 4 alle 6 settimane;
- una seconda fase di graduale reintroduzione, in cui si cerca di capire quale FODMAP il paziente tollera o meno, e in quale quantità;
- la terza fase di personalizzazione.
Tutte queste fasi, lo ribadisco, richiedono un continuo e attento monitoraggio del paziente da parte di personale sanitario che lo guida con attenzione.
L’esperienza sanitaria canadese del mondo reale suggerisce che solo il 40% completa in modo soddisfacente tutte e 3 le fasi del programma LFD, il che implica che una percentuale potrebbe rimanere all’interno della fase di eliminazione rigorosa. Questo comporta come conseguenza, il prolungamento di una dieta inutilmente restrittiva e non salutare, che aumenta il rischio di carenze nutrizionali e col tempo predispone ad un peggioramento della salute intestinale e disbiosi.
In Italia credo sia difficile trovare professionisti adeguatamente formati in questo approccio dietetico, e non credo ci siano moltissimi ambulatori di nutrizione nel sistema sanitario nazionale che possano seguire in maniera così continuativa un grosso numero di pazienti.
Se aggiungiamo il fatto che per i pazienti stessi è difficile seguire questo tipo di dieta, ecco pronta una ricetta per il fallimento.
Conclusioni
Se dobbiamo trarre il succo di tutto quello che abbiamo detto sino ad ora ecco uno schemino di come procedere nel caso in cui abbiate la sfiga di avere questo “urgente” problema:
- come primo step dobbiamo ridurre gli alimenti che dal punto di vista nutrizionale non ci servono ad un tubo se non a farci del male, e che vanno a “irritare” l’intestino o ne promuovono la motilità, aumentando così i sintomi di dolore, gonfiore e diarrea. Tra questi abbiamo il caffè e le bevande contenenti caffeina, l’alcool, bevande gassate e tutti gli alimenti ultraprocessati.
- in secondo luogo stiamo attenti ai grassi. Per dirla semplicemente: andiamoci piano con fritture, carne rossa, latticini, formaggi e pesci grassi; non bisogna ovviamente eliminare questi prodotti dalla dieta, ma bisogna moderarli, in quanto rallentano il transito gastrointestinale e peggiorano la fermentazione delle fibre;
- se i sintomi persistono nonostante questi interventi:
- stiamo attenti alla frutta, riducendo il consumo a massimo tre frutti al giorno;
- stiamo attenti a verdura e legumi. Tra i legumi i fagioli sono quelli che a causa della presenza di fibra insolubile, possono dare più fastidio. Le lenticchie,soprattutto le decorticate, sono più tollerabili. Non esageriamo anche con le fibre provenienti da verdure. Ovviamente dato il loro effetto salutare non vanno eliminate del tutto ma state attenti a non esagerare con alcuni tipi, soprattutto quelli facenti parte della famiglia delle crucidere e delle alliacee (cipolla in primis);
- riduciamo il consumo di pane, sopratutto quello bianco che non ha subito un processo di lievitazione naturale; preferiamo il pane che ha subito un processo di lievitazione lunga, che è più digeribile e con meno FODMAP;
- consideriamo eventuali intolleranze al lattosio, istamina, glutine. E mi raccomando non fatevi prendere per i fondelli con i vari test che vi propongono laboratori e fantomatici guru dell’ alimentazione! Serviranno solo ad alleggerirvi le tasche e appesantire le loro.
Se arrivati a questo punto non abbiamo nessun beneficio, dovremo rivolgerci ad un nutrizionista che ci guiderà nell’impervio percorso della dieta FODMAP.
Per concludere voglio precisare che la dieta è solo uno degli interventi che può essere efficace nel colon irritabile.
La gestione dello stress, la terapia cognitivo-comportamentale, l’attività fisica, l’utilizzo di alimenti fermentati, sono tutti fattori che contribuiscono all’equilibrio psico fisico, che in questa sindrome è purtroppo palesemente minato.
Quindi non ci fissiamo con la dieta o meglio ricordiamoci il suo significato originario: stile di vita!
Fonti
Consumo di alimenti ultra-elaborati e rischio di cancro
Cibi processati: perchè fanno male?
Cibo sano contro cibo altamente trasformato: cosa sapere