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Il segreto per perdere peso, migliorare le prestazioni, gestire al meglio lo stress: la flessibilità metabolica

Punti chiave

  • La flessibilità metabolica è la capacità che ha il nostro organismo di passare dall’utilizzo di un substrato energetico ad un altro (glucosio, acidi grassi, aminoacidi), a seconda della situazione.
  • Durante la fase di alimentazione, avere una buona flessibilità metabolica, permette una rapida captazione ed efficiente distribuzione del glucosio, evitando picchi glicemici ed insulinici.
  • In caso di stress energetici, come il digiuno, l’attività fisica e l’esposizione al freddo, un organismo metabolicamente flessibile è in grado di passare all’utilizzo prevalente di acidi grassi, che hanno un deposito maggiore, più duraturo e vantaggioso.
  • La cura del sonno e dei nostri ritmi circadiani è fondamentale per mantenere una buona flessibilità metabolica.
  • Mantenere una buona flessibilità metabolica ci consente nel breve periodo di:
    • mantenere il peso forma e migliorare la composizione corporea;
    • mantenere un buon controllo sull’appetito e sul senso della fame;
    • disperdere in calore l’eccesso di calorie introdotte con l’alimentazione;
    • avere una migliore prestazione atletica;
    • migliorare e mantenere delle ottime prestazioni cognitive, e tollerare meglio lo stress.
  • Nel lungo periodo ci aiuta a prevenire (ma anche a trattare) una serie di patologie cronico/neuro- degenerative.

Introduzione

La flessibilità metabolica è la capacità che il nostro organismo ha di shiftare da un substrato energetico ad un altro, al fine di produrre energia per i processi cellulari.

Il nostro corpo può, a tal scopo, utilizzare tre diversi substrati:

  • il glucosio;
  • gli acidi grassi;
  • gli aminoacidi.

Abbiamo un quarto substrato che sono i corpi chetonici, ma li vedremo successivamente.

Passaggio dalla fase di digiuno a quella di alimentazione

Nel momento in cui ci nutriamo, nel nostro corpo viene secreto un ormone chiamato insulina. L’insulina è un ormone anabolizzante ed anoressizzante, ossia un ormone che stimola la crescita cellulare (ad esempio la crescita dei muscoli), e che ci induce un senso di sazietà; è responsabile dell’accumulo di ciò di cui ci siamo nutriti sotto forma di depositi (il glicogeno e i trigliceridi).

I principali nutrienti che determinano l’aumento di insulina sono i carboidrati e in secondo luogo le proteine. Anche gli acidi grassi determinano però un debole stimolo alla secrezione insulinica.

Nutrirsi di carboidrati e proteine, insieme al conseguente stimolo insulinico, determina l’attivazione della proteina MTor, e di un pathway responsabile della crescita cellulare, sintesi proteica e del blocco dei processi di ringiovanimento e riparazione del corpo (autofagia).

Le forme in cui accumuliamo i nutrienti in questa fase sono essenzialmente due:

  • il glicogeno nel fegato e nei muscoli (la forma di accumulazione del glucosio);
  • i trigliceridi nel tessuto adiposo (la forma di accumulo degli acidi grassi, tenuti insieme da una molecola di glicerolo). Questo accumulo è quello che forma la nostra ciccia tanto odiata soprattutto in estate.

Quando i depositi di glicogeno sono saturi, il glucosio tendenzialmente viene prima:

  • convertito in calore, contribuendo alla termogenesi (questa è la via preferenziale se ho una buona flessibilità metabolica e funzionalità mitocondriale);
  • trasformato in acidi grassi e accumulato sotto forma di trigliceridi.

Passaggio dalla fase di alimentazione a quella di digiuno

Nel momento in cui inizia la mia fase di digiuno, l’insulina tende a scendere, i processi anabolizzanti, di crescita e accumulo vengono meno, ed il corpo si prepara ad affrontare la fase in cui non ha una pronta disponbilità dei nutrienti (dall’esterno).

In questa fase l’azione di MTOR viene progressivamente meno, e prevalgono altre vie metaboliche importanti per mantenere l’omeostasi (ossia l’equilibrio di vari parametri del nostro corpo, tra cui quelli ematici), nonché per riparare e rigenerare il nostro organismo. Tra queste abbiamo:

  • la via dell’AMPK;
  • la via del PPAR alfa, responsabile della biogenesi e riparazione mitocondriale;
  • la via delle sirtuine;

Complessivamente queste vie sono responsabili del processo di autofagia, in cui il corpo mangia i pezzi danneggiati per crearne di nuovi, meglio funzionanti, di mitocondriofagia e mitocondriogenesi (in cui la stessa cosa accade a carico dei mitocondri, le nostre centraline energetiche presenti all’interno della cellula).

Ovviamente questi processi sono fondamentali affinché le varie parti del nostro corpo, mitocondrio compresi, funzionino in maniera ottimale.

E’ molto importante che riusciamo a mantenere i livelli di glicemia meno variabili e più stabili possibile:

  1. nella fase di alimentazione, quando la glicemia tende a salire, il rischio è che il glucosio, aumentando a livelli notevoli, si leghi alle proteine, dando luogo al fenomeno di glicazione. Le proteine glicate vengono riconosciute come estranee, attivano il sistema immunitario e la via dell’NF-kb, dando luogo alla produzione di citochine proinfiammatorie e quindi contribuendo al fenomeno della flogosi cronica.
  2. nella fase di digiuno la glicemia tende a scendere è questo è un pericolo perché molti organi del nostro corpo possono utilizzare solo glucosio per produrre energia. Tra questi abbiamo:
    • la midollare del surrene;
    • i testicoli;
    • il cervello (che è interessante vedere negli uomini come vi siano similitudini nel funzionamento);
    • i globuli bianchi.

Per proteggere questi organi da un mancato apporto di glucosio, si mettono in atto una serie di strategie ormonali che permettono alla glicemia di mantenersi stabile.

In particolare nel momento in cui l’insulina scende, vi sono altri ormoni come:

  • glucagone;
  • cortisolo;
  • adrenalina, noradrenalina;
  • ed ormone della crescita (GH).

che si innalzano e contribuiscono a mantenere la glicemia stabile.

I depositi del nostro corpo ed il loro funzionamento

Ma se non introduciamo i carboidrati con la dieta da dove li prendiamo? Ovviamente dai depositi precedentemente creati.

Abbiamo detto che il glucosio si deposita sotto forma di glicogeno, sia nel fegato e nei muscoli, ma è solamente il deposito epatico che rilascia in circolo il glucosio che verrà fornito agli organi periferici.

Il fegato può contenere dai 80-120 mg di glucosio e questo deposito per essere depleto necessita dalle 12 alle 24 ore di digiuno. Non viene mai però completamente prosciugato perché vi sono altre vie che il corpo mette in atto per poter mantenere queste scorte. Insieme al deposito muscolare (250-400 mg) abbiamo circa 400-500 mg di glucosio.

il glicogeno accumulato nei muscoli non può essere riversato in circolo ma viene utilizzato dai muscoli stessi. Questo avviene per di più quando i muscoli devono affrontare un’ attività fisica. Non è infatti responsivo all’aumento del glucagone ma solo delle catecolamine (rilasciate durante l’attività fisica).

Dobbiamo infatti considerare che ad eccezion fatta degli organi su indicati, le altre parti del nostro corpo possono utilizzare un altro substrato energetico fondamentale: gli acidi grassi.

Gli ormoni su citati infatti non hanno solo lo scopo di indurre il rilascio di glucosio dal fegato ma anche quello di rilasciare gli acidi grassi dal tessuto adiposo. Ed infatti è così che si dimagrisce! Non mangiando!

Insomma questo quadro ormonale di insulina bassa e glucagone alto (insieme agli altri ormoni della controregolazione) permette di rilasciare acidi grassi in circolo, i quali veicolati dalla proteine (albumina) raggiungono i tessuti periferici e vengono portati all’interno dei mitocondri, per produrre un grande quantitativo di energia.

Insomma iniziamo a vedere qui l’importanza della flessibilità metabolica. Ci permette di shiftare verso il substrato energetico più conveniente a seconda della situazione:

  • nel momento in cui c’è abbondanza di nutrienti e di glucosio, questo viene preferenzialmente utilizzato come fonte energetica e l’eccesso accumulato o utilizzato per la termoregolazione;
  • In questa fase un’ottima capacità di utilizzare e incamerare glucosio (una buona insulino sensibilità), ci permette di evitare dei picchi post-prandiali di insulina e glicemia e le conseguenze nefaste della glicazione e della iperinsulinemia;
  • Nel momento in cui i nutrienti sono”carenti”, il nostro corpo è in grado di passare prontamente verso l’utilizzo di un substrato diverso, ovvero gli acidi grassi.

Un organismo metabolicamente flessibile è in grado di:

  1. utilizzare prevalentemente glucosio in fase di alimentazione (laddove presente nel pasto);
  2. passare all’utilizzo prevalente di acidi grassi in fase di digiuno ( e come vedremo in corso di attività fisica);
  3. man mano che il digiuno si prolunga, l’insulina scende sempre più, ed i depositi epatici si impoveriscono di glicogeno: il consumo percentuale di acidi grassi diventa sempre maggiore, quello di glucosio minore.

Un organismo metabolicamente inflessibile, utilizza sempre un mix di glucosio e di acidi grassi, e questo comporta:

  • una minor efficienza dei meccanismi di crescita (compreso l’anabolismo della massa magra) e di riparazione (autofagia);
  • picchi maggiori e prolungati nel tempo di glicemia e insulina, con promozione della glicazione flogosi cronica;
  • continua necessità di apporto di energia esogena ( ossia fame continua soprattutto per carboidrati);
  • ridotta energia fisica e mentale.

Il tessuto adiposo, la nostra grande e vantaggiosa riserva

Vi rendete conto di come la flessibilità metabolica sia un grosso vantaggio evolutivo: permette di risparmiare il glucosio per gli organi che lo possono utilizzare esclusivamente, mentre gli altri si affidano agli acidi grassi del tessuto adiposo che, per quanto sia demonizzato e disprezzato nella nostra epoca, è in realtà un mezzo di scorta notevolmente vantaggioso.

Pensate infatti che siamo in grado di accumulare sotto forma di grasso una quantità di calorie pari a 4500 calorie per un chilo di grasso; considerando che un individuo di 70 chilogrammi abbastanza in forma ha circa il 15% di massa grassa, avremo circa 10 chilogrammi di tessuto adiposo; un grammo di grasso lega circa solo un grammo d’acqua, quindi avremo 5-7 chili di grasso ai fini energetici: di conseguenza circa 22500 calorie di energia, mentre sottoforma di glicogeno abbiamo circa 400-500 g di glicogeno, e complessivamente quindi un quantitativo di 1600-2000 calorie a nostra disposizione.

Oltre a questo i depositi di carboidrati portano con sé un notevole quantitativo di acqua, Considerate che ogni grammo di glicogeno lega 2,7 grammi di acqua, quindi per 500 grammi abbiamo circa 1,350 grammi di acqua e questo appesantisce (proprio in termini di chilogrammi) notevolmente il corpo.

Disclaimer: per quanto riguarda questi calcoli ho trovato fonti un po’ discordanti. Il succo del discorso è che possiamo accumulare come grasso più di venti volte in termini di calorie rispetto ai depositi di glicogeno, con una zavorra d’acqua della metà.

Shift metabolico in corso di attività fisica e digiuno prolungato

Nel momento in cui per i nostri antenati cacciatori-raccoglitori la battuta di caccia non andava a buon fine, o non riuscivano a raccogliere frutti o radici a sufficienza, dovevano affrontare lunghi periodi di digiuno e visto che il glucosio ci offre energie solo per un giorno al massimo, avremmo fatto una brutta fine e sicuramente la nostra storia evolutiva si sarebbe interrotta molto prima.

Infatti, per sopravvivere, avremmo dovuto iniziare a cannibalizzare i nostri muscoli, fonte di proteine e quindi di aminoacidi che li compongono. Anche questi possono essere utilizzati a scopo energetico, ma in maniera limitata ed in determinate occasioni. L’utilizzo di acidi grassi ci permette di continuare ad avere energia anche se digiuniamo per giorni, senza cannibalizzare troppo la nostra massa magra.

Pensate a cosa avverrebbe durante una camminata/corsetta di qualche ora durante una caccia. I nostri antenati non stavano certo seduti a bighellonare alla playstation o a lavorare al PC, bensì correvano dietro le prede molte ore al giorno per poi, una volta catturate (se tutto andava bene), caricarsele in spalla e tornare al villaggio per potersele consumare con calma.

La situazione ormonale che viene a crearsi durante l’attività fisica è simile a quella del digiuno: a seconda dell’intensità abbiamo un aumento variabile di cortisolo, ormone della crescita, adrenalina e noradrenalina e glucagone.

I livelli di insulina saranno correlati a quante ore sono passate dall’ultimo pasto: più tempo sarà passato, più la glicemia sarà tornata a valori normali e di conseguanza anche l’insulina stessa.

Quando iniziamo l’attività fisica, la glicemia tende comunque a scendere ed insieme a questa l’insulina. I muscoli attivano i recettori Glut4 che consentono il trasporto del glucosio indipendentemente dall’insulina stessa, Man mano che l’attività fisica perdura, il corpo inizia a mobilizzare gli acidi grassi, e a ridurre il consumo di glucosio.

Vediamo anche qui uno shift metabolico verso un substrato di cui abbiamo un deposito più abbondante, e che può fornirci energia per tutto il periodo della nostra lunga corsa per la sopravvivenza. Anche in questo caso, se dipendessimo solo dal glucosio, non avremmo le energie per svolgere in maniera duratura un lavoro fisico.

In chi ha una flessibilità metabolica compromessa, l’insulina tende a rimanere più alta, durante l’attività fisica continua ad essere utilizzato un mix di grassi e carboidrati, carboidrati che si esauriranno rapidamente come si esaurirà la nostra capacità di sostenere lo sforzo.

Flessibilità metabolica ed esposizione al freddo

Un’altra interessante situazione in cui possiamo notare uno shift metabolico verso gli acidi grassi è l’esposizione al freddo.

Sempre tornando all’ambiente in cui ci siamo evoluti, l’esposizione al freddo poteva avvenire sia per improvvise immersioni in acqua di temperatura più fredda dell’ambiente circostante o semplicemente per i cambi repentini di temperature tra giorno e notte (con una escursione anche di 10 gradi) oppure tra la stagione estiva e quella invernale.

I nostri antenati si ricoprivano di pelli, si rifugiavano in caverne e accendevano il fuoco, ma non è certo come stare in una casa, con infissi di nuova generazione e riscaldamento a pavimento.

Insomma in qualche modo dovevano adattarsi al freddo per sopravvivere e non andare in ipotermia; questo accadeva grazie al fatto che il corpo aumentava la sua stessa produzione di calore, un fenomeno chiamato termogenesi.

La termogenesi può essere:

  • indotta dal tremore. Il tremore implica la contrazione e rilassamento ripetuti di gruppi muscolari contenenti principalmente fibre rosse, le quali sono ricche di mitocondri ed anno un metabolismo ossidativo (insomma utilizzano preferenzialmente acidi grassi come fonte di energia). Questa contrazione senza conseguente movimento si traduce in una dispersione di energia sotto forma di calore.
  • non indotta dal tremore. In questo caso abbiamo l’ attivazione del tessuto adiposo bruno. Il tessuto adiposo bruno è un tipo di tessuto diverso dal tessuto adiposo bianco ( la parte del nostro corpo che accumula acidi grassi e ci fa diventare ciccioni), e sicuramente più “simpatico”: brucia acidi grassi, senza produrre energia (ATP), ma disperdendo tutto sotto forma di calore che va appunto a riscaldarci. Ha una funzione fondamentale nei neonati, che, non avendo una massa muscolare importante, non hanno altro modo di riscaldarsi se non affidarsi al tessuto adiposo bruno. Negli anni tende a ridursi se non ci esponiamo al freddo. La buona notizia è che se riprendiamo ad esporci al freddo, il tessuto adiposo bianco va incontro ad un processo di browning, per cui appunto non diventa un brownies, ma tessuto adiposo bruno termogenico.

Vediamo due studi interessanti:

  • in soggetti con diabete tipo 2 il trattamento di esposizione al freddo per brevi periodi, ha portato ad un miglioramento della sensibilità insulinica del 43 %, risultati pensino maggiori di un trattamento di lungo periodo con attività fisica di resistenza. Con l’infusione di glucosio si notava un notevole miglioramento della captazione dello stesso in risposta all, insulina. (con notevole conseguente miglioramento della flessibilità metabolica);
  • in soggetti obesi è stata registrata un aumento della attivazione del tessuto adiposo bruno, associato ad una migliore insulino sensibilità e capacità di processare acidi grassi (esso stesso utilizza preferenzialmente acidi grassi per produrre calore).

Flessibilità metabolica, sonno e ritmi circadiani

L’ultimo aspetto da considerare fondamentale per mantenere una buona flessibilità metabolica, sono la cura della qualità e quantità del nostro sonno e la regolazione dei ritmi circadiani.

I nostri ormoni hanno una secrezione circadiana, ossia nell’ambito delle 24 ore hanno dei momenti di massima espressione e dei momenti di forte riduzione della loro presenza in circolo. Queste oscillazioni sono fondamentali affinchè la loro funzione sia svolta efficacemente.

Ad esempio:

  1. la melatonina deve essere presente di notte ma non di giorno, altrimenti saremmo sonnolenti quando non dovremmo esserlo;
  2. la melatonina determina un effetto di inibizione della secrezione della insulina, quindi non è il caso che sia presente nella nostra fase attiva, quando dobbiamo anche mangiare;
  3. il cortisolo è utile a tenerci svegli durante la giornata, ma non è utile di notte quando dobbiamo rilassarci per poter entrare tra le braccia di Morfeo;
  4. livelli di cortisolo persistentemente alti inducono una condizione di flogosi cronica ed insulino resistenza;
  5. in caso di carenza di sonno la leptina, l’ormone che ci da sazietà, si ridurrebbe ed aumenterebbe invece l’azione della grelina che ci porta invece ad avere fame. Ovviamente queste condizioni ci predispongono ad obesità.

Insomma è importante che:

  • gli ormoni siano secreti in quantità importante
  • nei momenti giusti,
  • che questi ormoni si coordinino tra di loro
  • e che i loro livelli non siano persistentemente elevati per non portare ad effetti di resistenza al loro effetto.

Il nostro corpo per mantenere i cicli circadiani ed allinearli all’ambiente esterno, ed in definitiva alle nostre necessità, utilizza degli stimoli esterni zeitgeber (segnatempo), ossia:

  • la luce del giorno;
  • l’introduzione degli alimenti;
  • l’attività fisica.

Anche il numero di ore in cui dormiamo e la qualità del nostro sonno influenza i nostri ritmi circadiani.

Nel momento in cui la qualità del nostro sonno viene ad essere compromessa oppure non dormiamo un numero sufficiente di ore, il nostro metabolismo subisce delle importanti conseguenze:

  • la nostra glicemia mattutina diventa quella di un paziente in prediabete;
  • i livelli di cortisolo rimangono cronicamente elevati;
  • i livelli del nostro ormone che ci induce appetito (grelina) diventano più alti, quello dell’ormone che ci da sazietà (leptina) più bassi.

Insomma abbiamo una condizione in cui abbiamo una insulino resistenza, il muscolo ha più difficoltà a nutrirsi e a crescere, abbiamo difficoltà a mantenere la massa magra; di contro, tendiamo a mangiare di più e ad accumulare il cibo sotto forma di grasso.

In queste condizioni in cui l’insulina è persistentemente alta, abbiamo difficoltà a shiftare verso il metabolismo dei grassi, e i livelli di glucosio rimangono elevati per più tempo. Non avviene lo shift metabolico, per di più abbiamo una predisposizione ad andare incontro ad obesità e diabete.

Dieta e flessibilità metabolica

Ovviamente la dieta è un punto cardine nell’aiutare od ostacolare nell’avere una buona flessibilità metabolica.

Abbiamo visto come per poter passare da una condizione in cui bruciamo principalmente carboidrati ad una condizione in cui bruciamo grassi ci vuole, fondamentalmente del tempo in cui non mangiamo.

Durante questo periodo l’insulina tende a scendere ed il corpo si affida ad una fonte maggiormente disponibile di energia: i grassi. Se soffriamo di una condizione di insulino resistenza, se siamo affetti da diabete di tipo 2 o siamo obesi, l’insulina raggiunge valori molto più alti rispetto a chi ha una salute metabolica migliore.

Questa insulina ci metterà più tempo a scendere e, rimanendo alta, continuerà a far scendere la glicemia nonché ad impedire la mobilizzazione degli acidi grassi. Il risultato sarà fondamentalmente che avrete più fame (oltre a tutta una serie di danni in termini di aumentata infiammazione e aumentato rischio oncologico).

Questo vi spingerà ad introdurre nuovamente del cibo, che, a meno che non stiate conducendo una dieta chetogenica, avrà probabilmente una buona componente di carboidrati. E in tutto questo la storia si ripete.

In sintesi possiamo dire che soggetti cronicamente in dieta ipercalorica, vedono il loro metabolismo progressivamente “scassarsi” per due motivi principali:

  • a livello ormonale si instaura una condizione di insulino resistenza;
  • a livello mitocondriale, vi è una situazione di ingorgo metabolico, in cui l’eccesso di nutrienti comporta una iperproduzione di radicali liberi che vanno a danneggiare gli enzimi della catena mitocondriale, responsabili della processazione dei nutrienti e trasformazione di questi in ATP e calore. Vediamo tre conseguenze principali:
    • un aumento dello stress ossidativo;
    • una ridotta capacità di produrre energia (ATP);
    • ridotta capacità di disperdere sotto forma di calore l’energia in eccesso (che sarà quindi accumulata come ciccia).

Ovviamanete questa stessa situazione la ritroveremo in caso di sedentarietà e mancanza di attività fisica.

Perché è importante mantenere una buona flessibilità metabolica?

Nel breve periodo una buona flessibilità metabolica:

  • ci aiuta a mantenere il peso forma e migliorare la composizione corporea. Durante la fase di alimentazione la buona sensibilità insulinica dei nostri muscoli permette di poter captare tutti i nutrienti che gli aiutano a crescere e a mantenere la massa magra (auspicabilmente dopo l’attività fisica), durante il digiuno a consumare acidi grassi invece di avviare la proteolisi per fornire aminoacidi per la gluconeogenesi;
  • ci aiuta a mantenere un buon controllo sull’appetito e sul senso della fame;
  • ci aiuta a disperdere in calore l’eccesso di calorie introdotte con l’alimentazione piuttosto che accumularle sotto forma di grasso. Pensate che mentre un soggetto magro ed inulinosensibile converte in depositi il 2-10% dell’eccesso, un obeso può anche arrivare al 30%;
  • ci aiuta a d avere una migliore prestazione atletica grazie alla migliore funzione mitocondriale, alla migliore composizione corporea ma soprattutto grazie alla capacità di processare grassi per sforzi di media intensità che garantisce energie per lunghi periodi con risparmio dei carboidrati per attività più brevi ed intense;
  • ci aiuta a migliorare e mantenere delle ottime prestazioni cognitive, e a tollerare meglio lo stress, sia per la migliore funzione mitocondriale (che produce ATP anche per la funzione del cervello), sia perché attivare questo switch metabolico sembra aumentare a livello cerebrale le connessioni gabaergiche. Le connessioni gabaergiche hanno azione modulante la trasmissione nervosa eccitatoria, esplicata dal glutammato. Come abbiamo visto in un precedente articolo impedendo l’ ipereccitabilità, si impedisce una iperproduzione di radicali liberi ed in definitiva il danneggiamento e la morte dei neuroni.
  • Un aumento della neurotrasmissione glutammatergica è stata implicata in molti disturbi neurologici e psichiatrici, tra cui:
    • emicrania;
    • dolore cronico;
    • epilessia;
    • Alzheimer;
    • Morbo di Parkinson;
    • ansia;
    • depressione;
    • ictus,
    • insonnia.

Nel lungo periodo mantenere una buona flessibilità metabolica ci permetterà di prevenire una serie di patologie cronico-degenerative, quali:

  • diabete mellito di tipo 2;
  • obesità;
  • ipertensione;
  • malattie cardiovascolari;
  • ictus ischemici o emorragici;
  • neoplasie al colon retto, mammella, prostata, ovaio;
  • malattie neurodegenerative come Parkinson ed Alzheimer;
  • ADHD nei bambini;
  • insonnia;
  • ansia e depressione;
  • emicrania.

Conclusioni

Voglio farti i complimenti per essere giunto alla fine di questo articolo. Lo studio del metabolismo è qualcosa di complesso e affascinante, ma al suo interno credo siano nascosti segreti molto importanti, segreti che possono aiutarci a prevenire, guarire o per lo meno migliorare notevolmente, condizioni croniche che tormentano e rovinano la qualità della vita dell’essere umano del mondo moderno.

Ho scritto questo articolo per aiutare me stesso e chi lo leggerà, a mettere in correlazione atti apparentemente stupidi che compiamo quotidianamente, come stare seduti, camminare, dormire , e portare il cibo alla bocca, con la qualità della nostra salute e in definitiva della nostra vita.

Ma soprattutto per responsabilizzarci e diventare protagonisti del nostro viaggio verso una versione migliore di noi stessi.

La versione che eravamo destinati a diventare quando siamo venuti al mondo.

Fonti

Short-term cold acclimation improves insulin sensitivity in patients with type 2 diabetes mellitus

Short-term Cold Acclimation Recruits Brown Adipose Tissue in Obese Humans

Effect of Acute Cold Exposure on Energy Metabolism and Activity of Brown Adipose Tissue in Humans: A Systematic Review and Meta-Analysis

Il glicogeno

Metabolic Flexibility as an Adaptation to Energy Resources and Requirements in Health and Disease

Metabolic Inflexibility: When Mitochondrial Indecision Leads to Metabolic Gridlock

Effects of Intermittent Fasting on Health, Aging, and Disease

Flipping the Metabolic Switch: Understanding and Applying Health Benefits of Fasting

Impact of intermittent fasting on health and disease processes

Intermittent metabolic switching, neuroplasticity and brain health

Fasting: Molecular Mechanisms and Clinical Applications

Lifestyle-induced metabolic inflexibility and accelerated ageing syndrome: insulin resistance, friend or foe?

Metabolic flexibility in health and disease

Pathophysiological role of metabolic flexibility on metabolic health

Metabolic Flexibility as an Adaptation to Energy Resources and Requirements in Health and Disease

Metabolic Inflexibility: When Mitochondrial Indecision Leads to Metabolic Gridlock

Physiological Adaptations to Environmental Stressors

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