Punti chiave:
- Nella fase di nutrizione abbiamo un periodo di 8-10 ore di massima efficienza, in cui in cui gli alimenti introdotti vengono digeriti, assorbiti e distribuiti al meglio.
- Nella fase di digiuno si innesca il processo di autofagia, responsabile del ringiovanimento e rigenerazione del nostro corpo.
- Introducendo il cibo in 8-10 ore (TRE), massimizziamo l’efficienza di queste due fasi, che si alternano e non possono coesistere.
- Per passare da una fase all’altra ci vogliono almeno tre ore.
- Digiunando 3/4 ore la sera, prima di andare a dormire (TRE 12 ore):
- si migliora la quantità e qualità del sonno;
- si migliora la digestione e si riduce la sintomatologia da reflusso;
- si riducono gli spuntini serali (con riduzione dell’introito calorico).
- Il TRE migliora il senso di fame/sazietà, rendendo più facile l’attuazione di un regime dietetico.
- Con un TRE di 8 ore c’è tendenzialmente una riduzione di introito calorico (RC).
- Con il TRE la RC non è voluta, ma spesso risulta maggiore di diete ipocaloriche, rendendolo un valido alleato nella perdita di peso.
- Un early TRE, eseguito nella prima parte della giornata, in soggetti obesi ha dato:
- riduzione dei livelli di glicemia ed insulina,
- riduzione dello stress ossidativo e dell’ infiammazione,
- la promozione di fattori favorenti la prevenzione di patologie cronico-degenerative, come l’autofagia, l’aumento di corpi chetonici ed di BDNF.
Introduzione
Nel precedente articolo abbiamo visto come il digiuno intermittente presenta dei benefici enormi per gli animali da laboratorio, ma alla fine, a meno che non vogliamo diventare degli allevatori di topi, questa informazione ci interessa relativamente…
Oggi andremo a vedere una serie di studi che vanno a valutare l’applicazione del time restricted eating (TRE) sugli esseri umani e andremo a capire quali sono i momenti della giornata in cui è meglio mangiare o digiunare a causa della diversa espressione circadiana dei nostri geni e del conseguente stato metabolico ed ormonale.
Il cibo: il tasto reset sulle funzioni periferiche
Il primo boccone che andiamo ad introdurre durante la giornata, va a resettare gli orologi biologici, che cesseranno di effettuare le attività di:
- riparazione,
- pulizia,
- rimozione di xenobiotici (detossificazione),
per poter processare gli alimenti con massima efficacia. Queste due diverse attività non possono coesistere, ci può essere o una o l’altra e per ottimizzare la nostra salute, è necessario che esse siano espresse a livello genico, metabolico ed ormonale ai massimi livelli.
Dal momento in cui iniziamo a mangiare il primo pasto, parte la fase di introduzione di alimenti: abbiamo una finestra di 8-10 ore, in cui gli alimenti introdotti vengono digeriti e assorbiti al meglio, nonché ripartiti maggiormente verso il muscolo e dispersi in calore piuttosto che essere accumulati come grasso. Nelle due ore successive a questo intervallo, l’attività genica connessa alla alimentazione tende a scemare con invece progressivo incremento dell’attività di riparazione e pulizia, tendenzialmente espressa soprattutto nelle ore notturne e nelle prime ore del mattino.
Se noi andiamo ad inserire nuovamente del cibo, questa attività sarà interrotta. I nostri orologi periferici infatti sono estremamente sensibili al cibo: si attiveranno per affrontare lo stress dell’apporto calorico, ma lo gestiranno con meno efficacia rispetto a prima. Per dirlo in termini non tecnici: l’hamburger che ti papperai alle 11 di sera, ti rimarrà sullo stomaco durante la notte e ti darà probabilmente un bel picco di glicemia ed insulina.
Per riprendere le attività di rigenerazione ci vorrà tempo, il tempo della digestione e del ritorno alla calma insulinica. In questo modo ci perderemo una fetta della fase di rigenerazione e per di più questa sarà meno efficiente.
Connessioni tra ritmo circadiano e metabolismo
Come ricorderete, i ritmi circadiani sono governati dall’oscillazione di due gruppi di fattori di trascrizione, che aumentano di livello in maniera peridioca, in particolare:
- il dimero Clock/Block, presente a più alti livelli di notte;
- Il dimero Per/Cry, presente a più alti livelli di giorno.
Ma la storia, è ancora più complessa, perché vi è una stretta correlazione tra l’espressione dei fattori di trascrizione dei ritmi circadiani e varie componenti del metabolismo. Cercherò di semplificare al massimo.

Veglia, giorno, alimentazione, sintesi proteica
Nella figura 1 vedete la prima metà che corrisponde ad uno stato di nutrizione. Quando mangiamo abbiamo un aumento di:
- glicemia,
- insulina,
che vanno a stimolare l’mTOR (acronimo di mechanistic target of rapamycin, bersaglio meccanicistico della rapamicina), un fattore molto importante coinvolto nella: crescita, differenziazione , proliferazione e sopravvivenza delle cellule, nonché nella sintesi proteica.
La sua stimolazione provoca però un’ inibizione del processo di autofagia, il processo a cui abbiamo fatto riferimento prima in cui la cellula si rigenera e ripara.
Una continua attivazione di mTOR (ad esempio per livelli di insulina persistentemente elevati) comporta un’ inibizione della riparazione cellulare con conseguente:
- morte cellulare;
- senescenza;
- trasformazione neoplastica.
Se vedete l’immagine in basso a sinistra, la stimolazione di mTOR, induce un aumento dei livelli del dimero Per/Cry (in particolare induce Cry), il dimero che è elevato durante la fase di veglia.
Riposo, sonno, digiuno, autofagia
Nella seconda metà dell’immagine abbiamo invece la fase di digiuno, in cui:
- l’insulina cala,
- il glucagone aumenta,
- i livelli di glicemia si stabilizzano.
In questa fase viene stimolato l’enzima AMPK (5′ AMP-activated protein kinase),coinvolto in vari meccanismo adattativi al digiuno e all’esercizio fisico, tra cui:
- captazione di glucosio da parte dei muscoli;
- utilizzazione degli acidi grassi come fonte energetica;
- inibizione della sintesi di colesterolo e trigliceridi;
- inibizione della sintesi proteica;
- promozione della autofagia;
- promozione della formazione di nuovi mitocondri;
- stimolazione dell’enzima NAMPT, che aumenta i livelli di NAD (Nicotinammide adenina dinucleotide, un coenzima coinvolto in svariate reazioni del nostro organismo), o meglio lo ricicla dai sui metaboliti di scarto.
L’aumento di NAD determina l’ attivazione della Sirtuina 1 che a sua volta va a favorire la trascrizione di Bmal, mentre AMPK favorisce il blocco di Per.
Il dimero Clock/Bmal, a sua volta, va a favorire la trascrizione dell’enzima NAMPT, aumentandone i livelli e di conseguenza i livelli di NAD, instaurando un ciclo virtuoso.
E’ un percorso interessante da considerare perché attualmente sono in studio alcuni prodotti per aumentare i livelli del NAD al fine di ricercare la “fonte della giovinezza e della longevità”. I livelli di NAD cellulari decrescono infatti con l’età, ed alti livelli di questo coenzima sarebbero connessi ad:
- un rallentamento dell’invecchiamento,
- mantenimento di un fisico giovane e dalle prestazioni ottimali,
- la prevenzione di patologie cronico-degenerative tipiche dell’età avanzata.
Però come vedete, mantenere una oscillazione circadiana ottimale dei nostri trascritti, ci permette di recuperare durante la notte i livelli di NAD consumato durante il giorno, riportandoli a livelli normali.
Nella fase di digiuno abbiamo quindi:
- l’aumento della attivita dell’AMPK,
- un aumento dei livelli di NAD,
- un aumento della attività della Sirtuina 1;
- un aumento dei livelli di Bmal;
- una riduzione dei livelli di Per;
nel complesso quindi una serie di attività che favoriscono il processo autofagico, quindi la riparazione e rigenerazione del corpo, e dei fattori circadiani tipici della fase di riposo notturno.
Riassumendo vediamo che:
- lo stato di alimentazione contribuisce a bloccare l’autofagia e a promuovere i ritmi circadiani della fase di attività, con sintesi proteica e proliferazione cellulare;
- lo stato di digiuno favorisce l’innesco della autofagia e un pattern circadiano tipico della notte e delle prime ore del mattino.
Ma quindi quando dobbiamo mangiare e quando e per quanto digiunare?

Se osservate la figura 2 vedrete che per passare da uno stato di alimentazione ad uno di digiuno, sono necessarie almeno tre ore (considerate che è un valore molto variabile a seconda di quanto e cosa avete mangiato). In queste tre ore i livelli di insulina e glicemia si normalizzano, ed il nostro organismo inizia a shiftare verso l’utilizzo prevalente di grassi invece che di glucosio a scopo energetico
Fino ad ora abbiamo capito che:
- per assecondare i nostri ritmi circadiano dobbiamo mangiare di giorno e digiunare di notte;
- questo favorisce l’oscillazione propria dei fattori di trascrizione dei ritmi circadiani (Bmal e Per), nonchè l’alternanza tra processi di crescita/proliferazione cellulare e sintesi proteica e processo autofagico;
- concentrando la fase di alimentazione in 8-10 ore massimizziamo queste oscillazioni;
- per passare da una fase all’altra ci vogliono almeno tre ore.
Conseguenze del cenare tardi sui picchi insulinici e digestione
Tre ore circa prima di andare a dormire abbiamo un iniziale aumento di melatonina. La melatonina si lega ad alcuni recettori presenti sulle cellule beta pancreatiche, inibendo la secrezione di insulina.
Una maggiore sensibilità insulinica nella prima parte della giornata favorirebbe la distribuzione dei nutrienti verso il muscolo piuttosto che verso il grasso, nonché la dispersione dell’eccesso sotto forma di calore; di contro Il consumo di pasti in tarda serata è associato ad un picco glicemico più alto e livelli insulina tendenzialmente elevati, che persistono per più tempo.
Vediamo quindi che le tre ore prima di andare a dormire non sono proprio l’ideale per consumare un pasto, ma piuttosto sono il momento ottimale per iniziare a digiunare.
Considerate inoltre che anche la capacità di digerire il cibo, nonché la motilità intestinale, sono nella fase calante del loro ritmo, quindi rallentate: più vicino al letto si mangia più è probabilmente avrò una cattiva digestione e soffrirò di reflusso.
Spuntini serali e notti insonni
Ma non è finita qui. Nel momento in cui ci alimentiamo, il sangue fluisce verso gli organi digestivi per poter consentirne l’attività . Quando noi dobbiamo andare a letto abbiamo necessità di abbassare di un grado la temperatura corporea: questo permetterà al nucleo soprachiasmatico di togliere il freno alla ghiandola pineale nella secrezione di melatonina.
Se il sangue è sequestrato nei nostri organi profondi, non riesce a raggiungere la superfice, dove vi è il cedimento di calore all’ambiente esterno. Di conseguenza la nostra temperatura non cala e la secrezione di melatonina permane frenata.
Lo stesso processo di alimentazione e digestione comporta un aumento della nostra temperatura, con conseguente stimolazione delle proteine dello shock termico (HSP 1), ed una stimolazione di Per (tipico della fase di veglia).
Ora capirete uno dei motivi per cui avete difficoltà ad addormentarvi se cenate tardi.
In uno studio è stata valutata l’associazione tra mangiare fino ad 1, 2 o 3 ore prima di andare a dormire e i risvegli notturni. Più la cena o l’ultimo spuntino erano vicini all’ora di andare a dormire, più aumentava la probabilità che il soggetto avesse risvegli notturni. Aumentava inoltre il loro numero e la loro durata. Il tutto comprometteva ovviamente l’efficienza del sonno.
Insomma vuoi per le difficoltà digestive e per gli episodi di reflusso, vuoi per il problema descritto legato alla termoregolazione, un pasto in tarda serata determina difficoltà ad addormentarsi e un sonno costellato da risvegli notturni.
Sonno non Rem e secrezione dell’ormone della crescita
Questa situazione riduce la possibilità di arrivare nelle fasi profonde del sonno, in particolare la fase profonda del sonno Non Rem, e ne riduce anche il tempo di permanenza. In questa fase abbiamo un picco di produzione dell’ormone della crescita, il GH.
Il GH, insieme alla melatonina ed al processo di autofagia, contribuisce a riparare e rigenerare il corpo, infatti è responsabile di:
- riparare il rivestimento endoteliale dei vasi sanguigni;
- riparare le strutture dell’apparato osteo-artro-muscolare;
- favorire la secrezione di muco e la proliferazione delle cellule dell’epitelio di rivestimento intestinale .
Questi effetti vengono persi o smorzati, perdendo le fasi del sonno profondo.
Di conseguenza non ci lamentiamo se il giorno dopo ci sentiamo come se un treno ci fosse passato sopra, abbiamo difficoltà a digerire o problemi dell’alvo.
Vediamo infatti che la secrezione di GH notturna è fondamentale per l’integrità dell’epitelio intestinale: l’aumento della permeabilità fa passare frammenti di batteri intestinali in circolo (LPS, il lipopolisaccaride che compone la parete dei batteri gram negativi intestinali) dandoci dei sintomi simil influenzali nella giornata successiva; col tempo inoltre questo fenomeno potrebbe aumentare la possibilità di instaurare reazioni immunitarie od allergiche, per il passaggio nel torrente circolatorio di peptidi del cibo mal digeriti.
La mia esperienza
Io stesso ho notato una enorme differenza sulla qualità del sonno in relazione all’orario in cui finivo di mangiare.
A casa ho sempre cenato alle 8-8.30, finendo massimo alle nove. Andavo a dormire alle 11.30. In genere passavano almeno due ore e mezza, tra l’ultimo pasto e il letto.
Nel momento in cui ho spostato l’orario della cena, in genere perchè finivo di lavorare tardi in ambulatorio, e al contempo ho anticipato l’ora in cui andavo a dormire, ho creato una situazione in cui facevo passare meno di due ore tra l’ultimo boccone e l’andare a letto.
Ho iniziato prima di tutto a soffrire di reflusso gastroesofageo e problemi digestivi che mi tormentavano la notte e durante la gionata; la cosa ridicola che anche il petto di pollo con il riso mi dava reflusso.
Oltre a questo effettivamente la notte mi svegliavo più volte, e avevo difficoltà a riaddormentarmi.
Spesso la sveglia era accompagnata da una sensazione di ansia (ed ero convinto fosse a causa del lavoro); è interessante notare che vi è un ormone chiamato colecistochinina (CCK), secreto dall’apparato gastrointestinale per digerire i grassi che, a livello del sistema nervoso centrale, può favorire la comparsa di una sintomatologia ansiosa.
Effettivamente aumentando nuovamente ad almeno due ore e mezza il tempo di digiuno serale, questi sintomi si sono fortemente alleviati.
TRE, introito calorico e qualità del sonno
Ma adesso vediamo: in quante ore la maggior parte della gente consuma il cibo? E qual è l’effetto di una eventuale riduzione della finestra alimentare?
La valutazione di una coorte di cittadini statunitensi ha valutato che:
- solo il 10% delle persone consuma il cibo in meno di 12 ore;
- il 50 % consuma il cibo in 15 ore e più, anche se non erano lavoratori su turni;
- il 35 % delle calorie erano assunte nelle ore serali dopo le 18.
Anche in India è stata riscontrata la tendenza da parte delle persone a consumare il cibo in una finestra maggiore a 15 ore. Inoltre il 75% delle persone nel week-end mangia più tardi e va a dormire più tardi, compromettendo la qualità del riposo. La mattina dopo posticipava la sveglia e di conseguenza la colazione.
Questi soggetti hanno partecipato ad un esperimento in cui riducevano le finestra di alimentazione in un intervallo compreso tra le 10 e le 12 ore, anticipando i pasti serali. Questo ha portato ad:
- una riduzione del numero di calorie assunte;
- una perdita di peso del 4%;
- un aumento della qualità e della durata del sonno: cenando prima riducevano le ore di veglia ed andavano a dormire prima;
- un aumento del senso di benessere e dei livelli di energia.
E’ interessante notare come in questo studio, normalizzando le abitudini di vita e i ritmi circadiani, ci sia stata una riduzione dell’introito calorico non voluto. Vi sono dati in cui applicando il TRE agli uomini vi può essere un taglio calorico fino al 20 %, anche se le persone non si pongono nessun obiettivo di taglio delle calorie. Diversamente in studi in cui si pone come obiettivo un taglio calorico del 25%, spesso si arriva ad un reale 12%.
In un altro studio a 16 uomini è stato chiesto di posticipare di un’ora il momento della colazione e di anticipare 5 ore la cena. Nel gruppo controllo non vi era restrizione di orario. I due gruppi non avevano nessuna indicazione sulla limitazione di introito calorico.
Nel gruppo in TRE vi è stata una riduzione dell’introito calorico ed una riduzione della massa grassa (non è stata però riscontrata in questo studio una riduzione significativa di peso).
Limitare l’introduzione di cibo in 12 ore permette di ridurre gli snack serali (che in genere sono molto calorici), di irrobustire i ritmi circadiani di fame/sazietà e sonno/veglia: tutto questo può conseguire un taglio calorico o meglio una normalizzazione delle calorie assunte, anche senza volerlo.
Abbiamo già visto in questo articolo, come una semplice educazione all’igiene del sonno ha portato ad una perdita di peso ed un miglioramento dell’energia e del senso di benessere di un gruppo di pazienti, quindi non dovremmo stupirci più di tanto di questi risultati.
TRE in soggetti obesi
I maggiori fan degli interventi dietetici sono i pazienti obesi/sovrappeso. Molti di questi hanno fatto ormai così tante diete da saper contare le calorie solo con lo sguardo, e prepararti una dettagliata dieta tagliata sui tuoi fabbisogni calorici con carta e matita in pochi minuti. Ma non riescono a dimagrire.
Undici adulti sovrappeso tra i 20 e i 45 anni con 25-35 di BMI furono assegnati a due gruppi di cui uno è stato nutrito tra le 8 e le 14, il gruppo controllo tra le 8 e le 20.
Nel primo gruppo si è riscontrato:
- una riduzione del glucosio nelle 24 ore di circa 4 mg/dl;
- una riduzione della escursione di glicemia circa 12 mg/dl;
- un maggiore livello di corpi chetonici di mattina;
- una maggiore espressione di SIRT1 e di alcuni geni responsabili della autofagia;
- una riduzione del senso di fame;
- una riduzione dello stress ossidativo;
- un aumento del BDNF (fattore neurotrofico cerebrale).
In un altro studio, un gruppo di soggetti obesi è stato sottoposto ad un TRE per 5 settimane tra le 8 di mattina e le 14 del pomeriggio, e confrontato con un gruppo controllo che ha introdotto il cibo in 12 ore, tra le 8 e le 20. Il 100% dei pazienti ha completato lo studio, indicando che l’intervento dietetico è stato ben tollerato (e stiamo parlando di soggetti obesi, che poco tollerano gli interventi dietetici…). Eccovi risultati:
- riduzione dell’ insulina a digiuno;
- una riduzione della risposta insulinica al pasto;
- un miglioramento della funzione delle cellule beta pancreatiche;
- una riduzione di 10 mmHg della pressione sistolica e diastolica (riducendo l’insulina ed introducendo il cibo in un momento in cui la natriuresi è stimolata dal ritmo circadiano, si aumenta l’escrezione di sodio e quindi la pressione si riduce);
- un lieve aumento di colesterolo HDL e trigliceridi;
- una riduzione dei markers di ossidazione lipidica;
- una notevole riduzione del senso di fame serale.
Insomma sembra che nel soggetto obeso, riducendo a meno di otto ore la finestra di alimentazione senza modificare il quantitativo di calorie introdotte, si verifichino dei cambiamenti metabolici favorevoli come:
- riduzione dei livelli di glicemia ed insulina,
- riduzione dello stress ossidativo e dell’ infiammazione,
- una promozione di fattori favorenti la prevenzione di patologie cronico-degenerative, come l’autofagia, i livelli di corpi chetonici ed di BDNF.
Come ricorderete dallo scorso articolo, questi eventi erano particolarmente spiccati nelle cavie di laboratorio, con conseguenze notevoli sulla loro salute. Non possiamo ancora dire se questi effetti notati possano avere sul lungo periodo un reale significato clinico nell’essere umano.
Early TRE vs Late TRE
Se ancora abbiamo qualche dubbio su quando è meglio digiunare, nella prima parte della giornata o nella seconda, abbiamo degli ulteriori che ci danno qualche conferma.
Un gruppo di uomini a rischio diabete è stato sottoposto a TRE in due modi diversi:
- un gruppo tra le 8 e le 17 (early TRE);
- l’altro tra le 12 e le 9 (late TRE);
In entrambi vi è stata una riduzione dei picchi di glucosio ai pasti, ma solo nell’early TRE vi è stata anche una riduzione dei livelli di glicemia a digiuno.
Ovviamente in tutti questi studi che vi ho presentato i due gruppi consumavano lo stesso numero di calorie.
TRE negli sportivi
Vediamo invece ora uno studio effettuato su dei soggetti sportivi che si allenavano per sport agonistici.
In questi pazienti è stato effettuato uno studio randomizzato di controllo per 8 settimane, in cui uno dei due gruppi effettuava un TRE tra l’una e le nove di sera. Questi i risultati:
- una riduzione della percentuale di massa grassa;
- un mantenimento della massa magra un abbassamento dell’IGF-1 (che è un fattore di crescita che stimola mTOR);
- una riduzione del testosterone totale, anche se il libero rimaneva uguale.
Applicazioni pratiche
Allora come disse Cicciolina tiriamo il succo. La mattina appena mi sveglio ho ancora dei livelli elevati di melatonina e anche l’autofagia sta lavorando molto, sia per il suo andamento circadiano, sia per il prolungato digiuno notturno.
Prima di mangiare posso aspettare almeno un’ora, così da far scendere la melatonina grazie all’azione della luce, e quindi potrò fare colazione.
La sera dovrei cercare di cenare presto, lasciando passare almeno tre/quattro ore prima di andare a dormire.
A questo punto se dormo tra le 7 e le 9 ore avrò una finestra di alimentazione di circa 11 ore, e questo ci darà già un gran numero di benefici tra cui:
- normalizzazione del senso di fame/sazietà;
- miglioramento della qualità del sonno;
- evitare di assumere dolci o spuntini ipercalorici serali;
- miglioramento della salute metabolica, evitando picchi di glicemia e insulina;
- miglioramento della digestione e riduzione della sintomatologia da reflusso;
- normalizzazione dell’introito calorico;
- azione favorevole aull’innesco dei processi autofagici di rigenerazione e ringiovanimento.
Se abbiamo necessità di perdere qualche chilo e limitare il cibo ad un intervallo di 12 ore non è sufficiente, potremmo provare a ridurre questo intervallo come strategia per ottenere un taglio calorico.
Tendenzialmente negli esseri umani si è visto che scendendo sotto le 8 ore vi è una riduzione dell’introito calorico. Banalmente se abbiamo meno tempo per mangiare, mangeremo meno roba, senza porci l’obiettivo di non fare i porci.
Conclusioni
Possiamo dire quindi che il TRE anche se magari non abbiamo dati eclatanti come quelli delle cavie da laboratorio, può essere un valido strumento di promozione della salute, sotto vari aspetti.
Può aiutarci a recuperare la forma fisica o a mantenerla, agendo a vari livelli.
Io stesso ne ho riscontrato i benefici e cerco di osservarne i principi, senza però dannarmi ad osservare ossessivamente le finestre temporali.
Si parla spesso di stile di vita, ma spesso questo è identificato come uno sforzo di volontà, in cui dobbiamo resistere alle cose belle e piacevoli che ci tentano ma “danno un senso alla vita”, e le cose noiose che però ci evitano la visita dal medico.
Forse la scoperta dei ritmi circadiani insieme alle metodiche per ottimizzarli e massimizzarli, possono aiutarci a recuperare quella intelligenza innata, obnubilata nella maggior parte di noi, in cui riconosciamo che i fattori che determinano la salute e benessere sono gli stessi che contribuiscono alla nostra felicità.
Fonti:
Time-Restricted Eating per prevenire e gestire le malattie metaboliche croniche
Time restricted eating: vantaggi, meccanismi e sfide nell’applicazione sull’essere umano
Uno studio controllato randomizzato sul time restricted eating in volontari sani senza obesità
Conseguenze metaboliche e cardiovascolari avverse del disallineamento circadiano
Frequenza e tempistica dei pasti in salute e malattia
Orologi circadiani periferici e centrali nei mammiferi
Associazioni tra mangiare o bere prima di andare a letto con la durata del sonno e risvegli notturni
Fonti immagini
Figura 1: Time restricted eating: vantaggi, meccanismi e sfide nell’applicazione sull’essere umano
Figura 2: Digiuno intermittente: l’attesa vale il peso perso?